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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera LXXII

Al nome di Dio, a dì 8 di ma(g)gio 1469
A· 29 di marzo fu l'utima mia; ò di poi 2 tue del p(rim)o e 12 del passato. R(ispost)a.
En prima tu mi di' del fatto della don(n)a, che lLorenzo ti scrive avere riferito Ma[r]cho di
quest'utima praticha, e che gl'amici ed io ne lo confortiano; e quello ne di' ò 'nteso, e
chosì per altre tue. A che ti dicho, che quando me ne ragionò nel prencipio, che non
mi dispiaque punto; e parevami che, benché ci fussi delle p(ar)ti che fussino d'alcun carico,
che cie ne fussi anche delle buone; e però ti scrissi. Di poi, veduto la risposta che ttu mmi
faciesti, i' ne stetti sopra di me, e no· ne lo confortai; e stetti un pezzo, ched io no· ne
ragionai a llui nè lui a me. Di poi, avendo da lloro che ci venivano volentieri, e Marco
e lLorenzo me lo dissono, quello che pareva a me; risposi che lloro se ne i(n)tendevano meglio
di me. E, secondo si vede, non ci è grascia nell'altre che ci sono, voglendo tor donna
che no· diminuisi d'onore. E p(er)tanto dissi pilglasino quel p(ar)tito parese loro il meglo; e che vedevano
quello tu ne scrivevi. E come t'ò detto pel passato, così ti dico, ch'io no(n) me ne travaglo,
nè no· ne lo domando di questa nè d'altra; nè llui ne dicie a me: siché, quello si seguirà
non te ne so avisare di nulla, nè che sia seguito da 2 mesi en qua. Priego bene Idio che
gli dia a piglare el meglo.
Di' che no(n)n mi racomandi la Fiam(m)eta, p(er)ché sai no(n) bisongnia: e così è il vero; che fo i(n)verso
di lei più che no(n) farei a una delle mie figluole. E così si fa quardia d'Alfonso, qua(n)t'è possibile:
è un pericoloso fanciullo; va sopra di sé, e sta magrucio, ma pure è forte della p(er)sona.
La Fiametta fecie la fanciulla, e p(ar)torì bene; ed è per ensino a questo dì sana; e sta meglo
che non fé in Alfonso. Idio lodato. Lorenzo ebe poco che fare a scriverti del dispiaciere
che i' e(b)bi del por nome Allesandro al fanciullo, s'egl'era maschio; e bene che diciessi
el vero, no(n) te lo doveva iscrivere; p(er)ché, come e' mi disse: «E no' staremo freschi, se
a' nostri figluoli noi no(n) potesimo por nome a n(n)ostro modo!». E dicie il vero. Ed i' ò auto tanti
delgl'altri dispiacieri, ed òlgli passati, e così passo questo; e sarè passato avendo fatto Allesandro,
chome passò Alfonso: benché allora v'era ragione rispetto di chi lo batte(z)zò. I(n)sino allora
m'avidi, che-l nome di tuo padre non ti piacieva. Ora Idio provide che fecie la Lucrezia:
ed è una bella fanciulla, e somigla la Fiametta; biancha come llei, e così di fatteze
è tutta lei; ed è più grossa che no(n) fu Alfonso. Idio gli presti lunga vita.
Mon'Antonia ve(n)ne, chome fusti avisato. Anda(m)mola a vicitare, e volenmola levare
di 'n sull'abergo: e perché era i(n) chonpagnia della don(n)a di meser Giova(n)ni Bentivogli, no(n)
si volle p(ar)tire da llei. Giu(n)se il dì a ore 20, e ll'altra mattina chavalcò. Fecigli oferte di danari
o d'altro che avesse di bisongno. E così senti' avea fatto Lorenzo. Aspettiàlla di ritorno
a dì 12; e se cci soprastarà niun dì, fareno a ongni modo si stia qui en chasa, e farogli
quello onore ci fia possibile di fare; e lla Fiametta fia di tre settimane di p(ar)to, che
sarà fuori del letto, sicché fareno nostro i[s]forzo. Non m'è briga nè noia nuova,
quando potessi fare e aiutarmi della p(er)sona più ch'io non posso; ma i' no· sono però
cho' talli chome mi scrivesti i(n) questo verno, ch'io avevo messo un tallo; e di poi è passato,
che mi senti' male i(n)sino pella settimana s(an)c(t)a; e chosì fatto Pasqua; di poi mi purgai,
ma (n)no(n) molto bene. Son pur ve(c)chia, e credo miglorare, ed i' pegioro; tanto farò così io
finirò e mie debiti. Sicché no(n) t'avendo iscrito ispesso come solevo, fu la chagione i(n) prima
il no(n) mi sentir bene, e poi ò pure da fare. E lla Fiametta p(ar)torì, e delle gienti ci chapitano
assai; e a me tocca tutto. E s'io non avessi altro iscioperìo che Alfonso, no(n) me ne
bisongnerè più: ma questo è chon piaciere. Senpre m'è drieto, come il pulcino alla chiocia. Siché
i' non posso chosì escrivere ispesso: ristoreratti la Fiametta.
Dissi a lLorenzo che tt'avisassi chome mona Lucrezia di Piero i(n)vitò duo volte la Fiameta
alle noze, prima ch'ella faciesi la fanciulla. Risposi, che ll'ave(s)se per escusata: ch'ella

aveva a fare il fanciullo; e che p(er) ventura lei sarebbe i(n) parto. Di poi, chome sentì ch'ella l'ebbe
fatto, ella ci rima(n)dò, che 'n ongni modo la voleva, e che non si gli diciessi di no. Ella non à
vogla d'andarvi, e a me non pare ch'ella debba andare. La prima, p(er)ché ttu no(n) ci sè; l'altra,
che s'ella v'andassi, bisongnierebe espendere parechi cientinaia di fiorini.
Avisandoti che si fa assai robe e cotte di brocato, che così si richiederebbe fare ancora a llei;
e poi delle gioie è mal fornita. Siché tu à' 'nteso: avisa che tti pare. Envitorono pe· 4 dì
di giungno; ma dicono che prolungeranno i(n)sino a San Giova(n)ni: sicché ci è tenpo assai, chi
s'à a vestire.
E lla mi dicie la Fiametta ch'io ti scriva, ch'ella vorrebbe farsi una giornea di saia nera melanese
p(er) questo San Giovanni, e che ttu ordinassi a lLorenzo che glele levassi. E i(n)vero, ella n'à bisongno,
che non è tenpo allora di portare le cioppe; e poi potrà porta[re] la chotta. Siché ordina ch'ela
se la possa fare, e averla al tenpo; che, a mie parere, n'à nici[s]tà. Nè altro p(er) questa.
Idio di male ti guardi. P(er) la tua

Allesandra Strozi, i(n) Firenze