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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera LIV

Al nome di Dio, a dì 13 di settenbre 1465
A dì 7 fu l'utima mia, e diriza'la a lLorenzo: che, non avendo tue, non avevo che dirti. Ò av(u)to di poi a dì nove una tua
de· venzei dì del passato. R(ispost)a al bisongno.
De' fatti di 45 parechi dì fa non ò sentito nulla; p(er)ché el f. di 32 e 54 e gl'altri ànovi de' pensieri che
chuocie loro; siché di quegli di 45 credo si stieno da chanto. L'uomo di 47 e 13 doverranno dartene aviso.
Di 33, p(er) la mia de· 17 doverrai avere i(n)teso quanto ne parve a 40; e di poi quella informazione che se n'e(b)be.
Marcho i(n)sino a ieri non aveva p(ar)lato a Franciesco; che l'uno e ll'altro è stato alla villa. À dua figluoli che stanno
a bottega; e-l magiore à buona presenza, ed è bel garzone: gli altri non ò visto, ma dicono che paiono di buono i(n)telletto.
Ònne di questa merchatantia ta[n]to ciercho, e av(u)tone tanta buona i(n)formazione, che qualunche
altra mi venissi alle mani, non crederrei poterne avere la metà.
I' no· mi maraviglo che ttu vada a rrilento al fatto della donna; che, come tu di', è cosa di grande inportanza,
e lla magiore che si possa fare: che l'avere buona chonpagnia fa istar l'uomo consolato l'anima e-l corpo;
e chosì pel contradio: che quando sono moccieche o ciervelline, o chome quella ch'ebe Filippo, si sta mentre
che si vive i(n)n asai tribolazione. A quella ch'ebe F(ilippo), gli fu detto i(n)sino quando e' ci era, che la vide, e piaquegli
tanto la ciervellinagine sua, che di niun'altra volle dire di sì; e volevala, qua[n]do era qui, torre: ma lla madre non
volle achonsentire di mandarla fuori. Poi avemo p(er) le mani parechi fanciulle da bene; ma no(n) ne vole nessuna.
E scande che lla madre morì, e messer Manno la teneva: fecie ta' portamenti, che parve loro mill'a[n]ni
di levarsela dinanzi; e sì p(er) non aver dota: e dierolla a Filippo. Siché non era da maraviglarsi di lei; ma
fu da maraviglare di lui, moccichone, che tanto se la lasciò salire i(n) chapo, e tanto se n'atabaccò, ch'ella fecie
vergogna a sé e a llui. Gl'uomini, quando ànno simile col ciervello legiere, le fanno istare a siepe: e
ch'un uomo, quando è uomo, fa la donna donna; e non se n'à 'tabachar tanto; che quando nel prencipio elle
fanno de' piccoli errori, riprenderle aciò che non abino a venire ne' maggiori. E la buona conpagnia
ischifa ria ventura. Asai sono quelle che, per non avere p(er)sone sopra chapo, fanno de' manchamenti; che
ongni piccola cosa di guardia la scanperebe, e no· lle lascierebe isdrucciolare. Siché, pensando a tutte le p(ar)ti –
che mi di' che chi più sa, lo dimostra ne' casi d'inportanza; che sè ttu uno di quegli che lle sai e che llo dimostri, che mi
piacie, en tutte le cose – i' credo, esaminato tutto, e p(er) quanto ò 'nteso, che questa non è ciervellina: che vi sono
passata tante volte, e mandatovi, e non si vede tutto dì su ppelle finestre; che mi pare buo· segno. I' n'ò av(u)to
tanto di lei, che no· ne potrei aver più. Aspetto che te n'arà detto Pandolfo, p(er) vedere se apone a nulla: che lla
mogle no· vi sa aporre, se nno· che lla madre non è una saciente chosa; e però il padre l'à avezza a fare la
masserizia e governare la chasa. I' ti conosco libero, e none ismemorato; che se ttu l'ài, ella sia di sentimento
chome m'è detto, credo che insieme arete consolazione. I' non so quello s'ànno a fare le p(er)sone p(er) l'avenire; ma al
presente è da stimare bene. Ora i' ò fatto quello s'apartiene a me: Idio lasci seguire il meglo.
Tu di' che i' metta in ordine la masserizia de' pannilini. Quegli ch'i' ò, voi il sapete; e quello ch'i' ò ordinato p(er)
te, sarà bene a tenpo in ordine; forse prima che lla donna. E se ttu non arai chosì a dopio le cose, m'arai
per escusata; che non si [può] più fare p(er) costà e p(er) qua, chi non à la borsa piena. I' sono da pocho; ma pure, quand'io avessi
danari da potere fare delle belle cose di pannilini, i' lo farei: ma i' so che ttu sè fornito i· modo chostà, che
quegli ch'i' ò ordinati qua, ti saranno a bastanza; che ò fatto la mia possibilità. E se, per esere tenuto buono cristiano,
non ài tenuto di quelle che aresti potute tenere, che tte n'arebono fatte; potrebb'esere che sì, e anche
che arebono disfatto quella che è fatta. Non si può se none lodare l'esser buon cristiano, p(er) l'anima e pel
corpo; ed è onore e buona fama alle gienti del mondo. Sì che, p(er) fare la masserizia, non avevi bisongno che grazia
di Dio. À' tanto al mondo, che presto se ne può fare: esendo in ordine di gioie, e io di pannilini, mi parrebe
di none stare più a vedere a venire a l'efetto.
Del finochio, chome per altra ti dissi, non è quest'anno dolcie. Furo ciento 11 mazi. P(er) quest'anno no· ne puoi
aver più. El marzolino, chi lo volessi buono, si vorrebe mandare a San Chasciano: e v'è la morìa p(er) tutto; e non
troverrei chi v'andassi. Saprò qui i(n) Firenze se ne potrò avere. Batista mi disse che n'aveva fatti fare parechi
chosì begli per rechartegli: egl'è del paese; e sarè meglo darne charico a llui, che a me; che saresti me' serviti,
e meno ispenderesti che io, male ch'i' faccia. Marcho non può, e Giovanni anche lui ' faccienda assai; en modo
no· glene dire nulla; e sta asai en villa. Poi è Consolo all'Arte degli Speziali; e quando e' ci è, està là .
Bettino tornò: diciemi che ebe da Giovanfra[n]ciesco buone parole, e che sarranno chattivi fatti. Tiene una bella
vita; e sta in chasa con più di 50 bocche, tra fattori e schiavi e schiave e altre gienti: tant'è, che si tornò sanza
isperanza di nulla più che gl'altri.
Del conprome(s)so, vi s'è detto p(er)ché s'indugiava; che s'à avere la licienza dal Monte e dalla Torre. Se a Dio piacierà,
si farà a ttenpo che starà bene. A Nicholò non ò scritto poi della donna, che ne sia a ragionamenti,
perché aspettavo Marcho s'achozassi chon Franciesco; e per ensino a questa mattina non me n'è

venuto a dir nula: siché istimo no· gl'abia parlato. Quando seguirà ragionamento d'averne esperanza,
ed io ne l'aviserò.
Siàno a dì 13, e altro di questo non ò, che va molto p(er) la lunga: che tti viene bene a proposito, che ci vai a rrilento.
I' m'ò fatto pensiero, toglendo donna, ci sarebbe di bisongno d'una ischiava; che ò la Margerita, che nno· m'è però
riuscita una facciente p(er)sona; e quando ben fussi, n'aresti bisongno d'un altro messo, però che lla Chateruccia
non è da fare pensiero; che se voi avessi a stare chostà, non si vuole p(ar)tire di qua p(er) verun modo;
e poi non è sana, che senpre si ramaricha. I' non ò servigio, se nnone dello andare un poco fuori: da quello
i· llà non se ne fa conto; che si sta in chamera sua: quando fila p(er) me, e quando fa sue facciende; siché si può dire,
ch'i' abia una serva e non più al durare della fatica. E p(er)tanto ti ricordo el bisongno; che avendo attitudine
avern' una, se ti pare, tu dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che sono p(er) durare fatica vantagiate
e rustiche. Le rosse, cioè quelle di Rossia, sono più gientili di conpressione e più belle; ma, a mio parere,
sarebono meglo tartera. Le circhasse è forte sangue; benché tutte l'a(b)bino questo. I' te ne do aviso del
bisongno: fa ora che tti pare. Nè altro p(er) questa. Idio di male vi guardi. P(er) la tua Allesandra Strozi, i(n) Firenze.

Chome passano le chose di qua, ne sarai avisato da chi ne sente più di me.

Ò scritto la lettera, e Marcho è venuto a me; e dicie esersi achozato chon Franciesco Tanagli, e che Franciesco
n'à parlato molto freddamente, e· modo che conprendo n'à levato il pensiero; e che dicie, che ne v(u)ole ragionare chon messere Antonio Ridolfi, ch'è è suo chogniato, che è in uficio, ed à a tornare per Ongnisanti.
E disse che gl'era gran cosa a mandare una sua figluola tanto di lu[n]gie, e in una chasa che si può
dire sia uno abergo. E parlò in modo, che si vede à mutato proposito. E questo istimo che ne sia suto chagione
l'andar tanto p(er) la lunga a darglene risposta; sì p(er) la lungeza tua e poi quella di Marcho; che 15
dì fa glene poteva darglene un poco di speranza. O questa lungeza l'à fatto isdegniare, o egl'à alle mani
cosa che gl'agrada più ch'e fatti tua. A me pare ci sia sì gran charestia di fanciulle che abino le p(ar)ti che
à questa, che noi fareno sanz'esa: che arà trovato meglo! Ma nnon già noi, non abiàno a trovar meglo!
I' n'ò auto sì gran dispiaciere di questo fatto, ch'i' non so quando me l'avesi tale; che mi pareva questa fussi così
el nostro bisongno, chome qualche altra si potesse trovare; che ma' più ci abiàno ' abattere, se bene s'avessi
di quelle di Cosimo. Era questa più il bisongno. Troppo mi duole che p(er) lentagine ci sia uscita di mano; e no(n)
so, chom'io m'ò detto a Marcho, dove mi rivolga ora; che no· ci è venute altro che nebbete alle mani, e p(er) me
non so s'abia a fare. Siché non arò a trovare e pannilini, nè ttu le gioie: che quando credevo essere
a meza via, ed io l'ò ancora a trovare. O sia col nome di Dio tutto! Marcho ti doverrà avisare di qualche
cosa; che a me è chascato il fiato, che tanta fatica n'ò durata, e p(er)duta tutto.