Al nome di Dio, a dì 3 di giennaio 1464
A dì 29 passato fu l'utima mia, sotto lettere de· Mirabali, chome sono usata; ò di poi una vostra de·
18 detto, che l'ebi a dì 30. Risposta al bisongno.
Della domanda fatta p(er) voi, vi pare grande; ed è vero: e chi disidera ch'ell'abia efetto,
com'io, no· gli pare ch'ella debba essere chosì espaventevole, e massimo chonosciendo e portamenti
vostri. E da tTomaso, p(er) mie lettere, e d'altri, entenderete tutto; che più dì sono che
chostì dové giugniere ensieme chon Girolamo di Lotto Lotti. Idio abia dato loro buon viaggio. Aspetto
presto Tommaso ritorni en qua; che a Dio piaccia sia con buone novelle, come disidero .
E, come per altra vi s'è detto, non die' la lettera a lLuigi Pitti.
Veggo ti duole el chaso di Lodovicho, e avete fatto bene a proferervigli: diciesi che renderanno s(oldi) 20
p(er) lira, e che rimarra(n)no ri(c)chi. Ànno di molte chase e posisioni, si dicie, e masserizie, p(er) 16 mila
f(iorini); sicché i(n) questo chaso p(er)dono più di riputazione che altro. E di poi arete i(n)teso di Giovanfra(n)ciesco,
à rifiorito la casa nostra: àcci debito assai, chi dicie che farà il dovere, e chi no; e credo
p(er) questo la nipote n'arà danno assai. Non se ne sente nulla ragionare di quegli
che pel pasato si dicieva, doverrassi vedere di qui a qualcche mese. La cosa di questi
falliti per ora pare posata; che da Giova(n)franciesco en qua non ò sentito poi d'altri. Ànn[o]
fatto ferie tutto questo mese, non so a che fine: che credo sia buono p(er) chi à debito.
Del fatto vostro avete preso per altra via non vi dicievo, che mi pare lecita e onesta; ed ò
piaciere e· rRe vi sia così benevole, come entendo ch'egl'è. E del dono vi scrissi volevo
fare a messere, ne sono isconfortata da Giovanni e da Marco: che dicono ch'io me lo p(er)derei;
che non è in fatti quello mostra nelle parole, e p(er)tanto n'ò llevato el pensiero. E chostà
non viene. Sentendo che altri vi venissi, ne sarete avisati.
Setevi aposti che, p(er) le cose ochorse, e denari del Monte sono esciemati; e se manderete
la prochura, la serberò: e avendola adoperare, s'adoperrà quando vi fia da rrinvestire en
chosa sichura e soda p(er) lei; e altrimenti, no.
De' fatti di Nicholò, ò charo sieno più tosto bugie che vero, e fa male chi gl'à leva[to] questa bocie.
Del Santuccio non me ne darò enpaccio: a Nicholò ne risposi. Idio e San Giovanni Batista, i(n) che
è titolata, la dia a chi meno l'à a chonsumare.
Entendo che della donna è da stare a vedere. Sia col nome di Dio. E io anchora vo' vedere
de' fatti vostri quello n'à a essere. E poi vi metterò i(n)nanzi una di quelle da Vernia, se
arà le p(ar)ti si ciercha; che me ne informerò: e piaciendoci, se ne potrè ragionare. L'altra sorela
à Charlo Baroncielli. Avisate se v'andassi all'animo; che a me piacierebe, esendo bella e bene costumata.
Dell'Ardingello n'ò domandato la madre: da marzo in qua non à(n)no lettere da llui; portanne asa'
pena. L'altro era a Vinegia p(er) questo fatto di Giovanfranciesco, che è a Ferrara; e, come tu
di', Tommaso arè fatto pocho frutto cho· llui, esendo seguìto el chaso di Giovanfra(n)ciesco: che bene
che si stimi abino a dare, pure non aran la comodità da llui avevano. E si tiene che ll'altro
di Levante non abia fatto anche lui molto bene. Idio aiuti loro e chi n'à bisongno.
Del parentado di 46 co(n) 54 non sento ora nulla, nè di sua venuta i(n) chostà; non mi par tenpo
da partirsi ora di qua. Se ne sentirò altro, ne darò aviso.
Io ebi a dì 30 del passato una lettera de· 22 detto da Nicholò Strozi, dove mi dicie ch'i' dica a Piero e To(m)maso Caponi che, n(n)o· vogle[n]do
rimettere sopra di loro e danari avanzano loro p(er) detto Filippo Strozi, gli paghino a me.
E piglandogli io, faccia loro lettera di riciev(u)to: dove, sendo le feste, non pote'. Ma el primo
dì, che fu a dì 2, vi mandai Marcho Parenti, p(er)ché Giovanni non er' a Firenze, e mostrò
la lette(ra) a Lionardo. Rispose che aveva lettera da Nicholò, del medesimo dì che lla mia, e che no·
dicieva, che non voglendo rimettere e danari sopra di loro, che me gli dessino. E p(er)tanto, esendo
venuto un fante da Vinegia, e lla mattina p(er) tenpo si partiva p(er) Roma, che presto v'aveva
a esere, rimise a rRoma a Nicholò, p(er) mano di Giovanni Borromei, fiorini cinqueciento: e che gli paiono
sichuri, e che, avendo auto aviso da Nicolò, me gl'arè dati. Che sopra di loro no· rrimetterè danaio,
che, da' Medici e Borromei en fuori, no· saprebe dove si rimettesi danaio; e che di Filippo gl'avanzava
f(iorini) 350, che di questi aspetterebe lettere p(er) questo fante, e ne seguirà quanto n'arà aviso.
Siàno a dì 5 ed ò sentito la chagione p(er)ché son fatte le ferie. E questo è, che ci è di quegli che stano i(n) sul
bilico di fare chome degli altri, che sono: e Pa(z)zi triemano; e Baroncielli si dicie ànno fatto, e' ci è delle cose, ma stanno
sotto p(er) le ferie che sono. Idio provega al bisongno. Della terra di Giovanfranciesco si dicie
di nuovo che non pare voglia fare el dovere qua; che se no· llo fa, glene seguirà l'ese· rubello, e forse
la morte. E sento che a Vinegia e a Ferra[ra] non potrà estare, rispetto e patti àno col Comune
di qua. Alla nipote è sciesa un grande iscaglione: forse s'arecherebono a darla a 45. Idio lasci
seguire el meglo.
E gl'è parechi mesi che quel pizichangnolo di Borgo Sa· lLorenzo m'à istimolata di nove f(iorini) aveva
avere da vostro padre. Credo che altre volte l'abiate inteso, e massimo Lorenzo, che
gli parlò quando e' ci era amalato. I' l'ò sostenuto quanto m'è stato possibile, e co(n) dire non ò a
pagare e debiti di vostro padre. Enfine, veduto no· ne può avere altro, e' n'à fatto amunizione,
e tratta la scomunica; dove a questo parendomi che fussi di nostro danno e vergogna, i' gl'ò
fatto parlare al nostro prete, che è un valente e buono huomo. Ed egl'à preso tenpo j° mese
da lui, chon dire ch'io vi scr[i]verrò e aviserò di questo fatto; e aspetterò vostra risposta, e di quello
s'abia a seguire. Egl'à una scritta di mano di notaio, dove Matteo s'obriga di dargli questi danari
per Angnolo da Vergereto, chavallaro; che Matteo è suo debitore. Rispondete che è da fare:
che quanto p(er) me, non posso più cho· llui, nè sostenerlo più cholle parole. E p(er) quello truovo al libro,
Matteo è debitore di quest'Angnolo de f(iorini) da 20. Sicché facciendone iscomunicha, areno voi ed io questo
peso adosso, che pure abiàno di quello di Matteo voi ed io; siché, quando chadesimo in questo, i'
non crederre' mai chapitar bene di nulla ch'i' avessi a fare. Avisate di vostro pensiero.
È venuto 4 dì fa Antonio di Soldo Strozi, e dicie avere portato non so che bariglone p(er) me, che è anchora
a Pisa. Fate bene a rimandarmene qualchuno, che mi disfate di barigloni e di saccha unte;
che ongni volta ò quistione cholla Chateruccia, che dici' no· ne può iscanpare uno saccho i(n)na(n)zi
a me. Questa mia è scritta chogl'ochiali: rilegiete e rivolgiete più d'una volta, tanto che lla
i(n)tendiate bene. Per altra dissi, le lettere avevo ritenute di Tomaso e tutte quelle v'erano
drento: serberolle bene alla sua tornata. Siàno a ore 23, e anchora non ci è el fante da rRoma,
che s'aspetta fra tre dì; fomi enanzi allo scrivere, p(er)ché el fredo mi dà noia, e a bell'agio la piglo. Aspetterò a
sugiellare, e se-l fante venisi. Di' che scrivi a tTomaso p(er) questa tua de· 18, del fatto de' danari, quello Tomaso
n'abia a fare. Non truovo ci sia suo lettere: estimo Nicholò l'arà ritenute a rRoma, sendo venuto
in chostà. Ed è vero che gra· rrovina ci è stata. Ora la cosa s'è rracheta: o che sia rispetto le ferie
che sono, o quello si sia, la cosa si sta. Nè altro per ora. Idio di male vi guardi. P(er) la vostra
Allesandra, Firenze