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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XXVII

Al nome di Dio, a dì 15 di marzo 1461
Del mese passato ti scrissi, e ne fu aportatore Gianino. Di poi ò lla tua de· dì 5 passato.
Risposta al bisongno.
Piaciemi che sia tornato a salvamento della p(er)sona, e che atenda a uscire di noie
chon dare espaccio alle faccie[n]de della redità; e di' che pensi fra un mese esserne
fuori, che quando fussi esbrattato in due, mi parrebe tu nne fussi a
buono merchato. None sto però molto sichura che ttu n'esca netto e sanza
da(n)no. Quando e' fussi che ttu non vi mettessi del tuo altro che-l dispiaciere e lla
faticha, mi parrebbe avessi fatto un buon passo p(er) te; che ragione sare(b)be, p(er) far
bene, non riciever male. Così piaccia a Dio che sia. Di Nicholò no· me ne maraviglo
punto, che sia in quella forma: che è la natura sua chosì, che senpre i(n)verso
di voi è stato meno chonosciente che negli strani. Lodate Idio, che v'à
dato tal virtù, che sanza lui potete fare.
Altro espasso vo' che pigli che delle 2 lettere, che non te le vo' mandare, acciò
non vengano i· man d'altri; se già non vedessi di mandarle p(er) man sichure,
che solo tu l'avessi. Bisognierebe chapitassino i(n) man di Tomaso Ginori: sono di mano
del suo Franciesco a mona Checha; no· ll'ò mo[s]tre, ma dissigli quello tu mi
scrivi. Dicie tu à' buon tenpo, che vorrebe poter esere a ragionare teco delle
damigie(l)le, chome facieva quando tu eri qua: che quando se ne ricorda
non può fare no· rrida. Racomandasi a tte.
L'amicizia e benivolenza che à' preso cho' nostri enbasciadori, e massimo cho·
Bonachorso Pitti, e cho' lor giovani, assai mi piacie. È Bonacorso molto estimato
sì p(er) la virtù sua e p(er) rispetto del padre; à 'quistato gran nome in quest'andata,
d'essersi governato molto sodamente. Delle pratiche tenute
cho· messer P(iero), consiglatene con Filippo, ma atendi prima a sbratarti, e poi
sarai chonsiglato di quello arai a fare. À' fatto bene a dar charico della do(n)na p(er) F(ilippo)
e p(er) te a Bonacorso; ma no· ne fia nulla, p(er)ché vorresti fare le nozze dove
non piacie a chi può. Idio sia quello che metta pacie negl'animi di chi n'à bisongno,
e buono amore e charità p(er) la inocienza vostra.
Di' che quelle letter' erano sotto lettere d'Antonio de' Medici. Non ve n'era
niuna di sue: ebi el mazzo da Matteo di Giorgio, e lle letere feci dare tutte.
Ieri entrò messer Piero de' Pazzi en Firenze chon gran trionfo e magnificienza,
più ch'entrassi chavaliere già gran tenpo. Non è però da farvi su
gran fondamento: che alle volte a Firenze si dimostra una, e fassi un'altra.
À(n)no detto miracholi de' tuo fatti, e Donato e meser Piero non se ne possono saziare di
dire bene di te. Non ò enteso che se ne dicha Bonachorso per ancora, che ne doverrà
dire el simile. Ancora Montelupo, donzello della P(ar)te, m'è venuto a vicitare,
e m'abracciò p(er) tuo p(ar)te, e gran festa mi fecie p(er) tu' amore, e dissemi chome tu eri
molto a grado agli enbasciadori: che m'è stato di consolazione sentire tale novelle
di te da tutti. Ringraz[i]one Iddio, che da llui abiàno tutte le virtù e lle grazie: che
noi, p(er) no' medesimi, non possi[a]no nulla; da llui solo ab[i]àno tutto. E p(er)tanto lodo
e ringrazio el Signore, e priego ci dia grazia, che noi ne siàno chonoscienti de'
doni che ci dà. Del ben fare, non se n'à che bene da Dio e dal mondo. Chosì ti conforto se[n]pre
a 'vere timore di Dio e a far bene; che così piaccia a Dio sia. Ricordoti, secondo sento,
che chi sta cho' Medici, senpre à fatto bene, e cho' Pazzi el contradio, che senpre sono disfatti.
Sieti aviso.

Da Filippo ò lette(re) che vuole andare p(er) 2 mesi a Napoli, non vedendo le cose en modo vi
si possa fermare; ma trovandole che al tenpo nuovo prosperassino, chome e' crede, vi si
fermerà, se nno tornerà a rRoma. Idio p(er) tutto l'aconpagni.
Giovanni Della Luna duo dì sono gli cha(d)de la gociola: à p(er)duto tutto il lato ritto,
e non favella, e sta male. Idio l'aiuti.
Bernardo de' Medici è tornato da Mellano, che v'è sta[to] inbasciadore, e sta bene.
Piaciemi che Antonio e ttu v'amiate chome frategli, e chosì vi mantenga lungo
tenpo Idio; rachomandami a llui. Di Tommaso non sento nulla, e lla Lucrezia
a questi dì mi domandò quello che n'era, che nulla ne sentiva: sicché avisa
chom'egli sta. Di' [a] Anto(nio) ch'i' ò 'v(u)to j° sua, che m'è stata di consolazione. Non achade altro.
Siàno a dì 26 ed ò la tua p(er) Pieretto de· 26 passato. Risposta.
Atendi a dar fine alle chose di costà quanto t'è possibile, che mi piacie; e tanto
più, quanto non credi averne danno. Ò 'nteso quella pratica ài con messer P(iero); òtti
detto in poche parole, chon Filippo te ne 'ntendi: che sa meglo di me quello è da fare.
Ma, p(er) quello ò sentito per altri tenpi, non è da 'npacciarsi cho· lloro per avere delle
traverse, che n'à' 'v(u)to assai. Poi non à qua la riputazione tu credi, p(er) rispetto ch'è amico
de' Franciosi; ch'è contradio a chi può più di lui. À in quest'andata più p(er)duto che aquistato:
e bastiti questo. No· ne ragionare chon altri, che non potrà essere no· llo senta. A Bonachorso
p(er) Giovanni gli ma(n)dai la lettera, e molto ti lodò; e disse a Giova(n)ni che, della licienza,
tastere(b)be se lla si potesse avere, pogniendo il chaso in altri che in te. Son cose di caricho
assai; da llui ne doverrai esere avisato. Le lettere tutte si dierono bene.
Giova(n)ni Bonsi finì p(ar)te delle cose, e p(ar)te ne restò, chome per altra ti dissi: aspettiano
risposta da tte, che s'abia a fare di quel p(re)zo di 20 du(chati) e di que' 2 inbrat...nii.
A dirlo a tte, Lodovicho si framette malvolentieri p(er) G(iovanni) cho· messer Zanobi; che altro
che nimicizia non se n'aquista. Scriva a Macingno che a llui starà meglo che ' noi.
Nè altro p(er) questa. Idio di male vi guardi. P(er) la tua

Alesandra Strozi, in Firenze