...

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XXII

Al nome di Dio, a dì 28 di febraio 1460
Del mese passato fu l'utima mia. Ò poi 2 tue de· 3 e 24 passato. R(isposta) al bisogno.
P(er) la mia di novenbre à' 'nteso qual è el pensiero e ll'animo mio. E vego che sè chonte(n)to
ch'i' faccia la mia volontà, e che i' pigli el partito mi pare; che mi piacie che ttu sia
di queste chose, che son di qua, chontento a quello farò. Però ched io non ò altro pe[n]siero,
nel finire le possisioni ed achonciare le cose ci resteranno, se nno· di fare
l'utile e salvamento vostro: ch'è mio debito far così, e non ci ò maggiore interesso
che-l vostro. I' ò 'nteso e del consiglo di To(m)maso e d'altri, e tutto s'aconcierà p(er) miglor
modo, e più sichuro si potrà: che presto si farà quello s'à a fare. Le pocissioni per a(n)chora
non sono vendute: che non siamo, del pregio, dove vorremo. Ora di queste
non se ne ragioni più: lasciàtene el pensiero a me; e quando saranno finite,
n'aviserò.
Le charte, overo ' panni dipinti, ebi duo mesi fa, e p(er) più mie ne sè avisato; che
la sua diedi a Iachopo, chome m'avevi avisato più volte. Dimostrò d'averla molto
a grado, e gran proferte ci fecie. L'altre 2 ò in chasa.
La ritificagione faciesti a messer Otto, p(er) non averne trovato richordo, no(n)
n'ò potuto dimostràgli le bugie sue, che già me ne ricorda a me che ttu lo faciesti.
Ma diciendo di no lui, no· glel'ò potuto provare. Ma ora che i' ò 'vuto la pichiata
cho' Macingni, è chanciellata. Che, chome ti scrissi, avemo una condannagione
di f(iorini) 500; cioè, che ciento, che ebe Franciesco Macingni di que' di Zanobi, s'intendino
in questi 500; che restono a pagare a noi f(iorini) 400. E di questi abiàno a pagare in duo
page: l'una a mezo questo, che di già n'ànno auti f(iorini) 75, e l'altra a mezzo
marzo. Non so se si vorranno indugiare e· resto della prima paga insino
al termine utimo, cioè di marzo. E 'roto a' vostri afanni avete questa pichi[a]ta,
che non è a voi picchola. Idio lodato di tutto, e chon pazienza bisognia portare e
nostri danni.
Io disiderrei che ttu non t'obrigassi a partito nessuno in choteste parti p(er) veru·
modo; però che l'utile e-l ben vost[r]o mi pare sia di stare presso l'uno a l'altro; e che
di più chonsolazione sarebe a voi e a me l'essere i· luogo di potere dare aiuto e
favore l'uno all'altro, p(er) molti chasi che posso· avenire: che stando tu in choteste
parti, mi pare averti mezzo p(er)duto. Sete ridotti a sì piccolo numero, che a ogni
modo e p(er) molti rispetti mi piacierà che tu pigli partito d'andare a trovar
Filippo, e di far que· che p(er) più sue t'à detto. I' non mi distenderò sopra di ciò 'n altro
dirti, p(er)ché nostre facciende no· si senta(n) p(er) tutto: che istimo le lettere mie ne sie
fatto el servigio che delle tue, che poche n'ò che no· sieno istate aperte. Donde si
venga el difetto, non so. Insino alle tue che vanno a Filippo sono trassinate: sicché
chose che fussino d'inportanza non mi scrivere, se nno· p(er) p(er)sona fidata; e così farò
a tte. Filippo mi se n'è doluto più volte, che lle sono state aperte. È gra(n) ma(n)chame(n)to
di chi lo fa. E benché ' nostri fatti no· sono di troppa inportanza, pur è mal fatto.
Piaciemi Iachopo avesse la mia; atendone risposta. Vego è stato malato di male
di fiancho, e che miglorava. Chosì piaccia a Dio liberallo in tutto e conservallo lungo
tenpo a sua figluoli. Non m'achade altro per ora. Filippo e lle nostre fanciulle sono
sane per ora. Idio lodato. I' mi sto pure chiocia; che sono nel tenpo che ci apressiamo al
nostro fine: che Idio me lo dia chon salute dell'anima. La Checha ti ma(n)da mille salute.
Che Idio t'allumini del meglo dell'anima e del corpo, e fa di star sano. P(er) la tua

Allesandra, in Firenze