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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XIX

Al nome di Dio, a dì 13 di settenbre 1459
A dì 6 fu l'utima mia. E be[n]ché gran dolglia fussi nel chuor mio a fare risposta a tal novella,
pure mi feci forza a farti que' parechi versi: che, oltre al dolore e lla grande
passione ch'i' avevo della morte del mio dolcie figluolo, avevo anchora gran pena
di te; che co[n]sideravo, e cho[n]sidiro al chontinovo, chome la tua p(er)sona debba stare '
avere sopportato tanti afanni nell'animo e nella p(er)sona, chome tu ài. Di poi ò la
tua de· 30 passato, che mi fu un poco di rifrigiero alla mia passione. Risposta p(er) questa.
Non dubitar punto che i' ò sentito un gran duolo. E son cierta che se ttu avessi per alchu(n)
modo pututo fare ch'io non avessi p(er) lungo tenpo sentita questa novella, l'aresti fatto;
ma non era possibile a farlo, e però fu di bisongno la sentissi prima da tte che da altri. E
non è dubbio, a mio parere, che ne ricievi danno assai, e più anchora di me. Però che
a me è danno p(er) l'amore materno, che è grande quanto dir si può; e a tte è l'amore dell'esserti
fratello, e al modo tuo ne traevi frutto, ed era presso a tte a poterti aiutare
della sua possibilità, e confortare l'u· ll'altro al bisongno: che è gran chonsolazione,
quando l'uomo à delle fortune, avere de' sua presso a ssé. Ed io ne so ragionare, che
sono escussa d'ongni chonsolazione; e credo che più te n'avedrai di qui a un anno, che ora:
che di più in più t'arebe levato della fatica assai. Ora queste è materia che qua[n]to più
se ne ragiona, tanto è di più pena a chi toccha; e p(er)tanto ti priego pilgli buon chonfor[to],
che, secondo tu di', no· gl'è manchato alchuna cosa, nè p(er) l'anima nè p(er) el chorpo; che à' a starne
paziente, chonsiderato ch'è suto volere di Dio chiamarlo a sé chosì giovane: che
quanto a miglore otta ci par[t]iàno di questa misera vita, minore fastello di pecchati
ne port[i]ano. E chosì io mi chonforto a pazienza, che non ci è rimedio a questa morte.
E veduto el governo che à 'uto, per una lettera tanto dolcie e chonfortativa ch'i'
ò auta da Fra' Domenicho di Santa Maria di Mo[n]te Uliveto, che llo confessò, e di passo i(n)
passo mi dicie chome si governò a quello istremo punto; che è quello che mi fa dar
pacie e miticha un pocho el mio duolo. Ora si vuole porre questo da chanto; e lla prima
chosa, che si sodisfaccia agl'obrighi che à lasciato p(er) l'anima sua. E quello che ttu à' promesso
tu, anchora si soddisfaccia. Di' che llo botasti qua all'Anunziata, di porlo di ciera: avisami
se s'à a fare più in u(n) modo che altro, che lla farò fare. La pianeta non so dove
ti botasti di farla; e non sendo obrigato di porla più in u· lluogo che 'n un altro, mi parrebe,
e chosì mi chontenterei, la faciessi chostà: acciò che di lui vi fussi qualche memoria.
E 'ntorno all'onore del chorpo, p(er) la mia de· 6 dì, t'avisai di quanto avevo seguìto di
vestire queste 2 fanciulle, che altro di chasa loro non ànno avere. Idio lodato.
Ala parte dell'esser o vero lasciatomi reda, no(n) me ne sono informata che sia da fare;
ma secondo mia vogla, è di non piglare questo charico, che mi sarebe di danno, secondo
mio credere. A questo piglerò chonsiglo da tTomaso, che duo dì fa tornò d'uficio. E ttu
arai veduto di poi come stanno e suo fatti; e avisatomi, e dirotti di mio parere.
Tu di' che tti pare neciesario di fare pensiero d'acostare Lorenzo in qua, più presso
a noi. A questo ti dicho, che tu ssai che la voglia mia era questa, e scrisitene duo versi; rispondestimi
cho· ta' ragioni, ch'io restai paziente. Sicché a questa p(ar)te lascierò piglare el p(ar)tito
a tte: che non ave(n)do io a stare dove voi, tanto mi fa che istia a Brugia, qua[n]to a Napoli o 'n(n)
Chatalongnia ; che a un modo me n'ò consolazione. Siché a tte toccha a piglare p(ar)t[i]to
di quello s'à a fare: e chonosci meglo el bisongno di questo, che non fo io, però che ll'amore
e lla passione mi vincie tanto, che forse no(n) vedrei chosì tutto. E p(er) tanto no(n)
dirò altro sopra di ciò. Avisa se Nicholò è guarito; che mi piacierà sentire di sì. La nostra
Checha è stata di 18 dì amalata di febre chontinova; ora gl'è sciemata, che n'à picola cosa, secondo
el medicho. A me pare abia magior male non dicono, però ch'è molto lassa,

che non vorrebe fare altro che giaciere; ch'è cattivo sengno, quando uno enfermo
meglora, e sta giudichato nel letto . Poi, à llo stomaco che spesso no· rritene el cibo. O che sia la
paura ch'i' ò di no· lla p(er)dere, o quello si sia, a me pare che abia gran male. Idio l'aiuti: che s'ella
manchassi, mi mancherebe un gran confo[r]to. Non bisongna raccomandare la vita
mia a me p(er) vostro amore, ma a voi bisongna racomandarvi la vita vostra p(er)r amore
di me, che vivo della vita e sanità vostra. Che a Dio piaccia p(er) sua misericordia mantenervi
amendua lungo tenpo, cho· quella sanità ch'io disidero p(er) l'anima e pel chorpo.
Da lLorenzo ò lette[ra] de· 7 del passato, ch'era a Brugia, e fra pochi dì si partiva e andava fuori
p(er) 2 mesi. Fra' Domenicho ringrazia. Che s'io arò tenpo, gli risponderò; e se pure no· gli faciesi
risposta alla sua, farai tu el bisongno e mia scusa. P(er) la tua madre Allesandra, in Firenze.

Tenuta a dì 15 .
Perché non pigli amirazione dello scriver mio in questa, che dico «s'io non ò a stare
dove voi». P(er) tuo aviso, i' no(n) dico questo p(er)ch'io non disideri chon tutto el chuore e ll'anima
mia di stare senpre ch'i' vivo dove voi, e non ò altra paura se (n)no· di non morire prima
ch'io ne rivega niuno di voi. E p(er)ché està a tte el diliberare l'andar mio e llo
stare, dissi chosì; che vego p(er) quest'utima tua el pensiero avate fatto, che in questa quaresima
venisi a Roma, e voi ne saresti venuti p(er) duo mesi, che mi stimo che a quelle parole
non fussi tuo pensiero ch'i' venisi a stare co· voi. Siché, figluol mio, avisa se ll'animo tuo è
ch'i' venga o ch'i' stia: che sappia el cierto della tua volontà, che co[n]seguirò. Che Idio ti dimostri
quello debb'essere el meglo p(er) voi e p(er) me. La Checha è di poi meglo.