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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XVIII

Al nome di Dio, a dì 6 di settenbre 1459
Figluol mio dolcie. Ensino a dì 11 del passato ebi una tua de· 29 di luglo, chome el mio figluolo
charo e diletto Matteo s'era posto giù amalato; e non avendo da tte che male
si fussi, senti' p(er) quella una gran doglia, dubitando forte di lui. Chiama' Franciesco,
e mandai p(er) Matteo di Giorgio; e intesi d'amendue chome el mal suo era terzana,
che asai mi chonfortai, però che delle terzane, non s'arogiendo altra malattia, n[on]
se ne periscie. Di poi, al chontinovo da tte son suta avisata chome la malattia sua andava
asottigliando; che pur l'animo, ben che avessi sospetto, mi s'allegierava un poco. Di
poi, ò chome a dì 23 pia(q)que a chi me lo diè di chiamallo a ssé, chon buon chonoscimento e
cho· buona grazia e chon tutti e sagramenti che ssi richiede al buono e fedele cristiano.
P(er) la qual cosa ò auto un'amaritudine grandissima dell'esser privata di tale figluolo;
e gran danno mi pare ricievere, oltre all'amore filiale, della morte sua. E simile
voi due altri mia, che a piccholo numero sete ridotti. Lodo e ringrazio nostro Signore
di tutto quello ch'è sua volontà; che son cierta Idio à veduto che ora era la salute dell'anima
sua; e lla sperienza ne ve(g)go p(er) quanto tu mi scrivi, che così bene s'acordassi a questa
aspra e dura morte: e chosì ò 'nteso p(er) lette(re), che ci sono in altri, di costà. E bene ch'io abbia
sentito tal dolgla nel chuore mio, che mai la senti' tale, ò preso chonforto di tal pena
di 2 cose. La prima, che egl'era presso a di te: che son cierta che medici e medecine e tutto
quello è stato possibile di fare p(er) la salute sua, con quelgli rimedi si sono potuti fare,
si sono fatti, e che nulla s'è lasciato indrieto p(er) mantenergli la vita. E nulla gl'è giovato:
che era volontà di Dio che così fussi. L'altra, di che ò preso quieta, si è della grazia e del lume
che nostro Signore gli diè a quel punto della morte, di rendersi in cholpa, di chiedere
la chonfessione e chomunione e la strema unzione, e tutto intendo che fecie
chon divozione; che sono sengni tutti da sperare che Idio gl'abia aparechiato buo(n) luogo.
E p(er)tanto, sapiendo che ttutti abiàno a fare questo passo, e non sapiàno chome, e non siàno
cierti di farlo in quel modo che à fatto e· mio grazioso figluolo Matteo – che chi muore
di morte sùbita, chi è taglato a pezzi, e chosì di molte morte si fanno, che si perde
l'anima e-l corpo –, mi do pacie, chonsiderando che Idio mi può far peggio. E se p(er) sua
grazia e misericordia mi chonserva amendua voi mia figluoli, non mi dorrò
d'alchun'altra afrizione. Tutto el mio pensiero è di sentire che questo chaso tu
lo pigli pel verso suo: che sanza dubio so che t'è doluto; ma fa che non sia e· modo che t'abia
a nuociere, e che non gittiano el manico dirieto alla scure: che no(n) ci è ripitìo niuno
nel suo governo, anzi, è suto di volontà di Dio ch'egli esca delle sollecitudine di questo
mondo pieno d'afanni. E p(er)ché vego, p(er) la tua de· 26 detto, avere di questo chaso tanta
afrizione nell'animo tuo e nella p(er)sona; che m'è suto, ed è, e sarà insino ch'io non ò
tue lette(re) che ttu pigli conforto, tal pena, che m'à a nuociere assai. E non piaccia a
Dio che i' viva tanto ch'i' abia aver più di queste! Chonsidero che avendo auto el disagio
delle malenotti, e la mani(n)chonia della morte e dell'altre cose, che lla p(er)sona tua
non dè stare troppo bene: e tanto mi s'aviluppa questo pensiero el dì e lla nonte pel capo,
che non sento riposo. E vorrei non avere chiesto consiglo a p(er)sona; anzi, aver farto
quello che mi pareva, e volevo fare: che sarei giunta a ttenpo ch'io arei veduto e toccho
el mio dolcie figluolo vivo, e are' preso cho[n]forto, e datone a llui e a tte. Voglo riputare
tutto pello meglo. Vo' ti pregare – s' e mia prieghi possono in te come i' credo – che
tu tti conforti avere pazienza per amore di me, e atendi a ttu(t)ta la salute della
tua p(er)sona, e poni un poco da parte le facciende della conpagnia. E sarè buono a purgarti
un poco, pure co· cose legieri, e massimo cho· qualche argomento; e poi piglare un
po' d'aria, se p(er) niu(n) modo potessi: ricordandoti che abi più charo la tua p(er)sona che lla roba.
Che, vedi, tutto si lascia! Ed io, madre piena d'afanni, che ò a fare sanza voi? Ch'è a me
sentire facciate della roba assai, e per essa vi maceriate la persona vostra con tanti disagi
e sollecitudine? Duolmi, figluol mio, ch'i' non sono presso a tte, che tti possa levare la faticha
di molte chose, che aresti di bisogno. Che dovevi, el primo dì che Matteo malò, dirmi, en modo
ch'i' fussi salita a chavallo, ch'e· pochi dì sarei suta chostì. Ma i' so che p(er) paura ch'io non amalassi

e non avessi disagio, no· llo faciesti: e i' n'ò più nell'animo ch'io no· n'arei auto nella p(er)sona. Ora
di tutto sia Idio lodato, che p(er) lo melglo ripiglo tutto.
Dello onore che à' fatto nel seppellire el mio figluolo, ò 'nteso che à' fatto onore a tte e a llui,
e tanto più à' fatto bene a onorallo chostì: che di qua non si costuma, di quegli che sono nel
grado vostro, farne alchuna cosa. E così ne sono contenta che abi fatto. Io di qua, con queste
due esconsolate figluole, della morte del lor fratello ci siàno vestite; e p(er)ch'io non avevo a(n)chora
levato el panno p(er) farmi el mantello, l'ò fatto levare ora, e questo pagerò io. E braccia
13 di panno do per una di loro, che costa, a dan(a)r(i) contanti, f(iorini) 4 e un quarto la channa; che sono i(n)
tutto canne 6 1/2. Questo farò pagare a Matteo di Giorgio, e da llu' ne sara' avisato.
La copia della sua volontà ò veduta; e così si vuole mettere in aseguzione, più presto che
si può, quello che è p(er) soddisfacimento dell'anima sua. L'altre parti più a bell'agio si possono
fare. E di così ti priego che faccia, e me avisa se nulla posso far qua; che ci è una sorella del
tuo ragazzo che avesti di qua, che è maritata, e none può andare a marito, che è una
gran povertà la sua. Per altre te l'ò racchomandata, e mai n'ebbi risposta. Ora, esendo
questo chaso, si vuole aiutarlla, che sono in tutto f(iorini) 15; e non vole· manchare. E in chaso che
del suo non vi fussi tanto, che ssi pottesse fare quello che lascia e questo, vo'lo fare di mio, o vo' fare
del tuo; che ttanto è una medesima chosa. Sieti aviso, e avisa come sta, e que(l)lo si può fare.
Vego Nichollò era malato di terzana; che, oltre alla pena mia, ò auto dispiaciere p(er) più
rispetti. A Dio piaccia p(er) sua misericordia liberarlo.
Da messer Gianozzo ò p(er) sua benignità una lettera, che n'ò preso assa' conforto, veduto l'afezzione
e amore ti porta, e chon quanta carità e con quanti asenpri m'i[n]ducie aver pazienza.
Che Idio glene re[n]da merito. E p(er)ch'io non mi sento di tale virtù, ch'io sapessi o
potessi fare risposta a un tanto huomo quanto è llui, me ne starò; ma ttu p(er) mie p(ar)te gli
fa que· rri[n]graziamento che t'è possibile. E me avisa, e spesso, chome ti senti; che Idio me
ne mandi quello disidero: che, p(er)ch'io sia usa avere delle aversità pe' tenpi passati, queste
mi fa(n)no più sentire. Anchora ringrazia p(er) lettera Bernardo de' Medici; che non ti potre'
dire con quanto amore mi venne a vicitare e confortare, e quanto si duole del chaso
e della passione nostra. Non dirò più p(er) questa, p(er) non ti dar tedio a llegiere; se nno· ch'io
aspetto tue lettere che tti conforti, e di sentire che ttu sia sano. Che Giesù benedetto ci
ne cho[n]cieda la grazia, come disidero. P(er) la tua

poverella madre, in Firenze