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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XV

Al nome di Dio, a dì 20 di luglo 1459
A dì 29 passato fu l'utima mia. Di poi ò 2 tue: l'una de· 19 di detto, e de· 5 di questo;
e quella picchola, di' mi scrivesti, della giunta chostì d'Antonio, questa non è conparita.
Risposta alle due.
Di cierto che Bernardo à fede in te, e grande: e prima che ti mandassi el figluolo,
e tanto più poi te lo mandò. La Gostanza ne sta sanza pensiero di lui, ed io ne l'ò
chonfortata. Pochi dì fa la vidi, e dissemi ch'io ti scrivessi che ttu diciessi ' Anto(nio)
ch'ella stava bene, e che p(er) quest'anno non vuole ire al Bangno. Andonne in Mugiello,
sicché non si maravigli Antonio se non à sue lettere. Salutalo p(er) mie p(ar)te.
Nicholò veg(g)o era in ordine di venirne in chostà. Secondo sento da Franciesco Strozi,
non arai bisongno di più fanciugli per ora, e chosì sete forniti di schiave; e se
Matteo n'è il gastigatore, arà faccienda, e no(n) picchola. Sarete una bella brigata!
Marcho ebe la tua. E p(er)ché ser Niccholò di Franciesco è nel letto cholle gotti, non s'è
fatto, overo lodato: che voglo ser Ni(c)cholò m'ordini in che modo e' s'à à fare, acciò che
la ragione abia el luogo suo. E niuno p(ar)tito s'è preso dell'altre chose: quando se ne
piglerà, lo saprete. E libri si stimorono, come ti dissi; ma nno· ci è ancora cho(n)peratore:
quando troverrò, gli darò via. Luccho se n'ebbe, chome per altra ti dissi, f(iorini) 12 la(rghi)
e s(oldi) 4; òttene fatto creditore a· libro mio.
Matteo à pagato di poi 3 chatasti p(er) me; à 'uto da me, p(er) 4 chatasti, f(iorini) 24 la(rghi), e lire 4,
e s(oldi) 9, d(anari) 4; e llire 25 per un mogio di grano ebe da me. Se ttu ne v(u)o' fare ricordo, tu puoi;
ed io ne fo ricordo al mio quadernuccio e 'nfilzo le polize che mi ma(n)da. Vanno
a Monte nel 1462: biso(n)gna pagarne pochi, che rimarrei tosto al verde.
Da Iachopo d'Ariano avesti le cose ti mandai. Trist' a que(l)gli uccielli che inanzi
v'arriverano. Non aver pensiero si venda lo schachiere. E finochio e marzolini
ò a mente; e asaggierò meglo el finochio quest'anno che-l passato, che sento
l'avesti amaro.
Da lLorenzo ò più lettere, e non mi dicie chosa d'inportanza. Ben dicie che p(er) u·
garzone, che andò cho· llui, che torna in qua, e che p(er) lui mi scriverrà di più cose,
che è p(er)sona fidata. Aspettolo ongnora. Fia in questa una sua a tte, e j° di Ni(c)cholò,
che no· lla mando a rRoma, che, sendo p(ar)tito, non vorrei chapitassi male, e però
la mando a tte. Se da lLorenzo arò lettera che sia di suo fatti, te la manderò.
A Giovanni Bonsi ò fatto lasciare la chasa teneva a pigione ed òllo ridotto qui, p(er)ché
non abia quella spesa. Da altra p(ar)te, non volendo apigionare questa, estarà meglo
abitata che serrata e, standoci io drento, mi passerò meglo avendo la Lesandra
mecho che star sola. E ancora quando i' non pagassi chosì el Comune, non sarei
gravata, che lui à pocha graveza; sicché, chonsiderato tutto, l'ò messo qui, p(er) lo meglo.
Franciesco Strozi mi dicie che un suo amicho, e non vole dir chi si sia, gl'à detto che
l'erede di Lionardo e di Piero e Matteo, p(er) ragione della bottega dell'arte della lana, à
'vere da Tinoro Guasconi circha di setteciento f(iorini), e che se n'ebe una volta la sentenzia
contro a tTinoro; e che questo suo amico gl'à mostro la via da rritragli. Dicie
avere escritto a Nicholò che gli sengni e libri della bottega, e che Nicholò gli dà parole.
Entenderai da Nicolò, venendo costì, che cosa ell'è . No(n) m'à però detto
ch'io te lo scriva: ma dicie, Niccholò non à el chapo se ne tragga nulla e non sa a che fine
se lo faccia. Non siàno ora in termine da rriscuotere. A mio parere, doverrai sentire
da nNicolò quello che Franciesco scrive. Va cierchando noia, e tiene l'anima
cho' denti, che ongni dì à male.
L'Arcivescovo entrò en Firenze a dì 15, e non à fatto niuna onoranza per ancora.
Diciesi la farà, ma io no·-l credo: che è pover'uomo, e non vorrà espesa. E p(er) voi si fa: che sentendo
che voi avete avere la sella e· freno, è uscito fuori uno Andrea di Singnorino, e dicie
aveva avere da questo prete, che vi lasciò questa redità, da 80 f(iorini). Ora Franciesco dicie
noi no(n) siamo reda . Non so chome si fara(n)no, che da fare ci è assai. Nè altro p(er) questa.
Idio di male vi guardi. Saluta la brigata p(er) mie p(ar)te. P(er) la tua Allesandra, Firenze.

Avisoti che chapitando chostà una schiava, che qui era de' figluoli di Guglelmo di Guarta,
che in costà si manda p(er) vendere, è ladra pessima: siché no· te ne venisi pensiero
di torla. Ara' sentito del parentado della figluola di Piero di Cosimo a Guglelmo de'
Pazzi, e ancora de' figluoli di Benedetto di Peraccione degli Strozi. E lo magiore à
la figluola d'Agabito de' Ricci, e Pagolo à questa di Filicie Branchacci; sicché si vorrà fare
pensiero per una p(er) te: che Idio ci metta inanzi qualche cosa di buono, se-l meglo
debb'essere. Che Idio vi mantenga sani lungo tenpo, e in filicità dell'anima e
del corpo.
Siàno a dì 21, e di nuovo non v'ò altro a dire, se nno· che stiate sani.