Al nome di Dio, a dì 10 d'aprile 1451
L'utima ti scrissi fu a dì 11 di dicienbre, e non t'ò iscritto poi, che ò 'vuto male di stomacho,
e non n'ò potuto istar chinata a scrivere. Sommi medicata u(n) mese, e asa' bene
sono miglorata; e se non fussi la quaresima, credo sarei guarita. Verranne la Paschua:
se a Dio piacierà, penso guarire.
Del mese passato, d'Antonio Strozi fusti avisato chome abiàno maritata la Lesandra
a Giovanni di Donato Bonsi, ch'è giovane dabbene e virtuoso, è d'assai ed à tante buone
parti in sé, che i' tengo cierto ch'ella istarà bene, quanto io, per quello sento di lui,
e quanto n'ò veduto in questa state passata in villa di Ricchardo Macingni, molto ne sono
chontenta. E benché sieno 7 frategli, lui sta di per sé dagli altri; truovasi ora a rRoma
p(er) cierte facciende, overo chonpangnia aveva chol Castellano di Chastel Sant'Angnolo,
che morì. Non sarà qui insino a otto dì di maggio. À di dota, tra danari e donora, f(iorini) 1000.
So che d'Antonio sè avisato di tutto, di questa materia.
Pel Favilla e(b)bi la ciesta, drentovi: libbre 36 di lino, e un sacchetto di libbre 51 di mandorle,
libbre 24 di chapperi, 3 alberegli di confezzioni; ongni cosa buono e bello. Vennono
a ttenpo rispetto il mal mio, che tte ne fo onore. Mandai delle mandorle e de' chapperi
alla Chaterina la suo parte; e chosì ' Antonio Strozi, pare(c)chi: che non potevo far di meno,
che molto charo l'ànno avute, che no(n) n'è stato qua quest'anno. Più, pel detto, ma(n)dasti
a Marco ciento dieci libbre di lino. Dissemi detto Favilla ch'era rimaso d'acordo
teco avere di vettura, di tutto, lire quattordici, e che da tte aveva un ducato e mezzo,
ch'erano, secondo dissi lui, lire 6 e s(oldi) 18. Restò avere l(ire) 7, s(oldi) 2. Volli ritenegli queste l(ire) 7. Pregommi
che pel chaso suo, ch'io gli dessi l(ire) 4; e l(ire) 3, s(oldi) 2 iscontassi: e così feci. Ò posto a suo conto
l(ire) 3, s(oldi) 2, che ttanti gl'ò ritenuti. Marcho mi diè la suo parte della vettura, cioè lire
7, che tanti glene toccava. Di nuovo ò 'vuto 12 choppie di buttarage, molte belle. Fa' bene
a rricordarti di me, che oggimai ò bisongno di vezzi da voi, ma vorrei fussi presso a mme!
Priego Idio ci die grazia siàno sì presso, che insieme abiàno chonsolazione, chome disidero.
Della gunta chostì di Niccholò e Matteo sono allegra, che non ti potre' dire la manicchonia ò 'v(u)to
già duo mesi, non sentendo niuna novella di loro, e senpre mi die' a 'ntendere che qualche
fortuna gli avessi fatti malchapitare. Senpre ne domandavo ' Antonio o ' Marco, se
di loro sentivano nulla; dicievammi di no. Ora sentendo son gunti sani e a salvamento,
m'ànno detto il caso intervenne loro: che Idio sia ringraziato, che gli liberò di tanto pericholo.
E fecie bene Antonio a non me-l dire: tra ch'io avevo male, credo di dolore sare'
morta. Fa lor vezzi, e massima a Matteo, che non se ne sa fare da ssé, che debba eser consumato.
E se vedi abia bisongno d'alchuna cosa di qua, avisami e manderò tutto. Che Idio vi dia della
suo grazia. Fa cche mi scriva ispesso. Arei ora gran bisongno di lui, rispetto e bisongni
della Lessandra, e de· rrispondere alle lette(re), che non posso tanto iscrivere. Non guardare
ch'io no· rrisponda a ttutte le tue: fate pure di scrivermi ispesso. E ora che v'è Niccholò, atiemmi
la promessa del venire insin qua: e se possibile fussi, ci venissi inanzi la Lesandra
andassi a marito, ci sare(b)be a tutti una gran consolazione tu tti ci trova(s)si. Che Idio te ne dia
la grazia, se debb'essere il meglo.
Per anchora non ò preso partito nè diliberato nulla della Chateruccia; che poi ci venne
quella ischiavetta da Barzalona, è miglorata e sta a(s)sai in pacie. Di quella di Iacopo, fo pensiero
tenella tanto la Lesandra vada a marito, poi se ne piglerà partito. Di tutto sarai avisato.
Nè altro p(er) questa. Raccomandaci a Niccholò, e a tte racchomando Matteo. Che Idio di male vi gua(r)di.
P(er) la tua, in fretta,
Allesandra, in Firenze