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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera VIII

Al nome di Dio, a dì 22 d'ottobre 1450
L'utima ti scrissi fu a dì 5 di giugno e per allora t'avisai quanto era di bisongno. Di poi ò 'vuto
più tue, e a niuna ò fatto risposta, perché tu vegga che Matteo non ci è, e che oramai è di bisongno
uno di voi torni qua; che i' sono oggima' d'età da volere essere governata, e son poco sana, e fatica
mi pare lo scrivere. E poi questo andare pelle ville fuggiendo la morìa, m'à anchora
isviata dallo scrivere; ma ò detto alle volte a Marcho e ' Anto(nio) Strozi ti scrivino 2 versi per mie
parte. Ora di nuovo ò due tue, l'una de· dì 23 di settenbre, l'altra de· dì 4 d'ottobre. Farò r(isposta).
Veggo che-l pensiero di Niccholò è di menarne seco di chostà Matteo, che ll'ò caro, che di meglo
ne sarà assai a esere presso a tte. Ma fa che ttu no· lgli dia busse, fa che abia discrezione di lui,
che, a mie parere, à buono sentimento; e quando errassi, riprendilo dolciemente: e farai
più frutto per questa via, che colle busse. E questo tieni a mente. E m'à iscritto molte
lette(re), e chosì ' Antonio e a Marco, che ssono sì bene iscritte e dettate che basterebbe a un uomo:
che me ne chonforto assai di lui e vorre'lo presso a mme. E se nNicholò faciessi la via di
qua alla tornata sua a Napoli, non so s'io me-l lasciassi uscire tra lle mani. Che Idio
die lor graz[i]a, che piglino buon viaggio.
A Giovanni Lorini veg(g)o à' dato un saccho di lino di mazzi 30 e di peso di libbre ciento cinquanta,
e che debba riuscire al peso di qua 170. Per anchora no ll'ò av(u)to, che dicie era molle,
e àllo tratto a p(P)isa del saccho, e sciorinatolo; che l'ò 'vuto molto per male: che se i dieci
mazzi del vantagiato fia più bello che quello di Giovanni, dubito non mi sia iscanbiato dell'atro
mezzano. Ne darò libbre 50 alla Ginevra, e faromi dare fiorini due e mezzo
di suggiello, chome mi scrivi. E quando l'arò avuto, te n'aviserò, e lla spesa arò fatta.
Questo dì ò da Franciesco di Batista vetturale il lino mi mandi: cioè mazzi 19, sono a p(p)eso
libbre ciento cinque. Parmi sia bello. Die'gli di vettura un fiorino istretto, cioè lire
4 e s(oldi) 14, che disse Batista chosì aveva avere. Se avessi av(u)to più che-l suo dovere, fattegli dare
chostà all' detto Franciesco, che viene chostì. E a llui ò dato j° sacco, cioè due sciugato' chuciti
insieme, e drentovi libbre 13 di finochio, che sono più di settanta mazzi, e 22 marzolini.
Sono piccholi, ma credo fien buoni, che sono di buon paese, e qua ànno gran nome i marzolini
da Chavaglano; ma non sono anchora fatti, che n'ò partiti alchuno e vego àn(n)o buona cera.
Anchora n'ò chonperati 20 da lLuchardo, che ssono grandi e be(l)gli, e credo buoni;
che pesa l'uno libb(re) 2 e mezo. E per non pagare vettura, no· lgli die' a quel Franciesco reca
il finochio. Non chosterà nulla di vettura quello ti recha ora; e se ti chiede nulla,
chontentalo di buone parole a rristorallo; e chosì m'ingiengnerò mandarti quest'altro,
che nnon se ne paghi nulla. Le chamicie farò e ' fazzoletti di mandarti più presto
che i' potrò; e se Soldo a· suo ritorno chostà le vorrà rechare nelle bisaccie, potrà: che
fia poco vilume. Io no· ll'ò anchora veduto poi ci venne, che ero in villa; e quando
lo senti' che ci era, venni a Firenze; trova' er' ito a Pesero. Di poi ci fu un'altra volta, e
lui era malato e anchora non è guarito. Vedrollo inanzi si parta di qua e
mosterro(n)gli quelle scritture de' debitori di Pesero. Non è tenpo ora a farvi nulla,
rispetto la morìa che (v)v'è. E quando fie tenpo, v'è uno ch'era grande amico
di Matteo, che m'aviserà di quello arò a fare: ch'è poco il figluolo mi fecie motto.

A· (r)ritorno di Franco farò quanto mi di'; ma e' ci è di quegli che non fanno charestia
di parole. E chi vuole degl'amici assai, ne pruovi pochi.
Tu ssai, più volte t'ò scritto da gungno adrieto dell'a[n]dare a rRoma, e questo era mio
pensiero: prima, per avere il perdono; e poi, che speravo vederti, credendo avere
in questo tenpo la Lesandra fuor di chasa, e lla morìa fussi cessata; che, esendo nel verno,
non si stimava faciessi più danno che la state, chome fa. E pertanto, son chonsigliata
da chi bene mi vuole per queste due chagioni, cioè la Lesandra e pella morìa,
ch'io farò il meglo a starmi a chasa. E chosì farò, se altro non venissi di nuovo. Angnolo
da Quarachi vi va, fatto Ongnissanti; e dicie se troverrà da venire chostà a tte per a(q)qua, lo farà: che tti
v(u)ole vedere prima che muoia. Se a Dio piacierà, che glene dia la grazia! Della Lesandra non bisongnia
ragionare mentre è lla morìa, che (l)le gienti da bbene son tutti fuori di Firenze. Alle volte
ricordalo ' Antonio Strozi, che nnon può altro che giovare.
La Chaterina istà bene, e-l suo fanciullo; e Marcho e Parente si portano benissimo di lei, e pella suo
persona non gli mancha, se nno(n) ch'à mala suociera. Ma ben ti dico, non sono parenti da farne
chonto di servigio niuno, ma a noi basta che llei istie bene. Priego Idio a tutti dia di suo grazia.
Istannosi in villa, presso a Giovanni Portinari, ed io mi sto all'Antella, chon Zanobi, che v'è sano. Alle
volte vengo a Firenze, quando ò faccienda, per 2 dì. Ora ci sono istata 3 dì aspettando il lino
desti a Giovanni Lorini; non è g[i]unto per ancora. Nè altro per questo. Idio di male ti guardi. P(er) la (tua) Allesandra, in Firenze.

La morte di Franciesco sanza dubio è danno a ttutta la casa. Idio gli p(er)doni.
E lla tratta d'Anton de' S(ignori) è stata molto utile. Idio lodato di tutto.