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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera III

Al nome di Dio, a dì 8 di novenbre 1448
A dì 6 di questo ebi una tua de· dì 16 del passato, alla quale farò per questa risposta.
Tu mi di' de' fatti di Matteo, chome t'à scritto una lette(ra) di nostro istato: ed è vero; e stiàno anchora
peggio che non dicie. Idio lodato di tutto. E dell'aver mostro la lettera a Nicholò à' fatto bene:
però che lo stato nostro è noto agli strani, ben debb'esser noto a quegli che ci sono parenti e chontinovamente
ci aiutano. Che Nicholò non à ora a dimostrare la buona volontà inverso di voi, che senpre
è stato di buon animo a farvi del bene, ed èciene di te tale isperienza, che ne so· chiara; e
tu, più di me, ne deb'essere chiaro. Tu di' che, veduto che qua Matteo, si' per amore della morìa che porta
pericholo a starci e si' perché e' perde tenpo e non fa nulla, Nicholò è chontento lo mandi chostà e ch'io
lo metta in punto. E gl'è vero che qua è chominciato la morìa, e chi à 'vuto d'andare in villa, se n'è
ito; e anchora pelle ville n'è morti, e quasi per tutto il chontado ne muore quand'uno e quand'un altro.
E lla brigata si sta per ancora in villa e credo, non faciendoci altrimenti danno, che
torneranno ora a Firenze. Istimasi che questo verno non farà troppo danno, ma che a primavera
chomincierà a fare il fracasso. Che Idio ci aiuti. E Matteo m'à sentito dire che, sendoci morìa,
non ò danari da partirmi: ed è vero. Io non so chome io me lo mandassi, che è piccolo, anchora
à bisongno del mio governo; ed io non so chome mi vivessi, che di cinque figluoli rimanessi con
una, cioè la Lesandra, che ongni ora aspetto maritalla, che il più possa istar mecho non sono
du' anni. Che quando vi penso, n'ò gran dolore di rimanere chosì sola. E dichoti che a questi dì andò
Matteo in villa di Marcho, e stettevi se' dì; ch'io non credetti tanto vivere ch'e' tornassi e non avevo chi mi
faciessi un servigio, che mi pareva esere inpacciata sanza lui, poi mi scrive tutte le lettere.
Da altra parte, ebbe in questa state un gran male e credetti che morissi, ma il buon governo
lo scanpò; e ragionando chol maestro dell'andar di fuori, mi disse: «Voi l'avete pocho charo, se llo
mandate, però ch'egl'è di gientile chonpressione! E se avessi un male fuor del vostro governo, sì mancherebbe!
Sicché, se ll'avete charo, no· llo partite sì tosto da voi!». E per questo, e perch'io me ne vego
bisongno, me n'uscì il pensiero. È vero che, or fa un anno, n'avevo volgla, ma avevo anchora la Chaterina
in chasa, che non mi pareva eser sì sola ; ma poi senti' chome Lorenzo si portava tristamente,
e che d'amendue avevo avuto tanto dolore, che, sendo morti, no· n'arei avuto ma(g)giore. Ch'io,
tra una chosa e ll'altra, diliberai non ne mandar più fuori, se grande bisongno non m'era.
Òllo detto cho· Marcho e chon Antonio degli Strozi; amendue mi dicono per ora no· llo mandi. Ma
se pure a primavera ci sarà la morìa grande chome si stima, esendo miglorata a Siena e
per tutto il chamino per ensino a Roma, lo potre' ma(n)dare: che sarebbe pazzia, la mia, a mandallo ora,
che ora siàno nel verno; che, diliberando mandarlo, no· llo metterei per via, sicché
per ora non vi porre pensiero. So i' meglo di niuno il bisongno vostro, e che se voi non ve ne guadagniate,
non bisongna istare a fidanza d'altro. Io per me m'i[n]giengnerò per ogni modo e masserizia di
mantenervi questo pocho ch'i' ò, se-l Chomune no· mme lo togle, che non posso più difendermi. Idio sia
quello che m'aiuti e a voi dia virtù e santà, chome disidero.
Del lino, istarò a ttua fidanza; e se me lo mandi, mandami drentovi libbre 10 di mandorle
per la quaresima, che verranno bene nella balla del lino. Chiechotele perché sento chostà n'è
buono merchato, e qua son chare; fa di mandarmele, che so è poca ispesa.
Di Marcho t'aviso ch'è buon giovane e molto bene tiene la Chaterina, e tutti se ne porta bene
e molto me ne chontento, che è di buona virtù; ma à troppa gravezza, che à da undici fiorini.
Tutto à pagato per ensino a qui; e se non peggiora, ne sono molto chontenta di lui. Che Idio gli dia
della suo grazia. La Chaterina non è per anchora grossa, che, al tenporale che è, l'ò molto charo, ma
istà magra della persona, che somigla suo padre. Idio la faccia pur sana.
A dì 4 di questo ti scrissi ; manda'la sotto lette(re) di Marco; e, perché il fante si partì prima ch'io non
credetti, credo l'arai a un'otta chon questa. E per quella ti scrissi della chasetta di Nicholò
Popoleschi, che s'è venduta a Donato Ruciellai, che ci è a' chonfini, cioè in sulla corte, che per verun
modo no(n) si vole lasciare uscire di mano. F(ilippo), rispondi presto, che lo voglo iscrivere a Iachopo a Brugga.
Nè altro per questa. Idio di male ti guardi. Per la tua Allesandra fu di Matheo degli Strozi, in Firenze.

Fa d'esser ubidette a Nicholò, e di fare il debito tuo inverso di lui, e d'eser chonosciente del bene
che vi fa: che se così farai, ancho io viverò chontenta. Che Idio per sua miserichordia te ne dia
grazia. A questi dì iscrisse Matteo una lette(ra) a lLorenzo a Vignone.