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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XLIII

Al nome di Dio, a dì 5 di febraio 1464
A dì 31 passato e p(er) Tomaso ebi la tua de· 30 detto; e così rechò qui tutte le lettere che andavano a' cittadini
e alla Signoria, mandate da· rRe p(er) la licienza. Aduceronsi con diligienza, chome da tTomaso
arai enteso, per una sua escrittati insino a dì primo di questo, e della diliberazione fatta
sopra questa licienza. Il p(er)ché non ci parendo che p(er) via di salvocondotto e di licienza di chi governa
tu fussi sichuro di no· chadere nella chontumacie di rubello; e chosì ci fu detto da Luigi e Ristoro,
e degli altri amici, che questa licienza sichurava la p(er)sona e ll'avere en sul loro terreno,
ma (n)no(n) ti sichuravano che ttu non chadessi in bando di rubello. Però che lla legie dicie che niuno
chonfinato non ci posa venire, se nno· pe' Consigli: altrimenti, cha[n]gia in bando di rubello.
Siché, i(n)tendendo questo, non l'abiàno voluta in questo modo. Rifeciono la pratica, e sì trovorono
il modo, chome ti disse messer Tomaso Soderini, p(er) via di coma(n)damento; e questo era più
sichuro, e a questo ci acordavamo, p(er)ché da tTomaso Davizi e dagli altri amici ci era detto che
era abastanza. E questa diliberazione si fecie domenicha sera, e lunedì mattina sì l'ebono
inanzi gl'Otto, p(er) farvi su el p(ar)tito. E infine vi fu uno degl'Otto che disse, che no· renderebe mai
fava a questo p(ar)tito; che si trovò a confinarvi, e che non si voleva trovare a farvi tornare; siché,
non potendo fare sanza lui, non si misse a p(ar)tito. Mandoromi a dire che gl'era di volontà di
pri[n]cipali che ttu venissi e non avessi pensiero. Risposi a tTomaso, che da parte di Die[ti]salvi me
lo dise, ch'io non volevo mettere la p(er)sona tua a rischio p(er) le parole; che loro non ci mettono altro,
ed io ci metterei la carne e sa[n]gue. Che non era questo p(er) nostre facciende, nè pregati
da noi; che per verun modo non volevo tu venisi, se non eri molto bene sichuro e fuori di pericolo
di più danni che ttu t'abia ora. Non so che si seguera(n)no; non voglono ti si scriva mo tu ritorni endrieto;
siché non so quello si faranno. Non si può dire p(er) lettera tutte le cose seguite, che non basterebe
un foglo: da tTomaso sarai avisato più p(ar)tichularmente di tutto. Confortoti a pazienza,
che tutto è a buon fine. E quando non avessi fatto altro questa tua venuta, pure siamo
chiari dov'è il buon animo e dov'è il fegato marcio, che è nel f. di 32. I' ti conforto a stare
anchora qualche dì a vedere se altro diliberassino, che non possino avere iscusa di dire: «E' si p(ar)tì
presto: noi aren fatto e detto!». Siché non ti p(ar)tire insino n'abia aviso da nnoi; e sta di buona
vogla, che ci avete degl'amici.
Questa mattina mi disse la madre di Nicholò Ardigelli, ch'egl'è venuto a Vinegia en
questi dì, e tosto doverrà essere a Bolongna, p(er) dare ordine chome si potrà menare la donna.
E' s'è fatto enbasciadori a Napoli a· Re, e al Duca di Milano pe' fatti del Signore di Rimino, ch'è
morto e à lasciato un suo figluolo secondo signore e a governo de' Veniziani; dove qui se n'è
fatto gran chaso, e però mandano questi i(n)basciadori a· Re eletto: messer Luigi Guicciardini e Pandolfo
di messer Giannozi Pandolfini. Sarà buono avisarne Filippo, che co· rRe faccia che ora, ma(n)dando
la Comunità per aiuto a llui, che mi stimo che p(er) qualche richiesta vi mandino, che i· Re richiega
el Comune di Firenze della liberazione vostra. E non otenendo tu ora questa grazia
di venirci, l'ò p(er) buono; che potrà i· rRe dire: «El Comune, overo e cittadini, non mi vollono servire
di quella picchola richiesta, p(er) servirmi d'una magiore!». E richiede[re] e gravare gl'inbasciadori,
che ne scrivino di qua. E 'nchora e portamenti vostri enverso d'essi i(n)basciadori, chon qualche
presente, che volentieri l'accietteranno, vi sarano in favore. E oltre a questo, Dietisalvi
è quello va a Melano ed èvi amicho. Dove pel fatto vostro bisongnia che i· rRe iscriva al Duca,
che gli conpiaccia di questo, di chiedere allo inbasciadore el simile p(er) voi che fa lui; e simile scrivere
a Diettisalvi. E così si vuole adoperare ora, a questo tenpo, ciò che huo[mo] può, e p(er) la venuta de· figluolo de· rRe;
e ancora ordinare quel medesimo, venendoci quello del Duca. Io so che de' fatti vostri n'entendete
più di me; pure ti ricordo e do quel poco dello aviso posso. Se ttu arai licienza, ti dirò a bocca
quanto che n'ò. Portatene questa, e mostera'la a Filippo, che, acozandosi ora queste cose ensieme,
si vuole fare il possi[bi]le; che la Comunità à bisongno di queste Potenze. Ancora a Milano
avete Pigielo vostro amico, ch'è gran maestro. I' scriverro(n)ne a Filippo di questo fatto; che, tornando
tu indrieto, forse ne sarai aportatore, vegiendo di mandartele salve: che son cose d'inportanza,
e non da fidarle a ogn'omo. Da Filippo ò lettere con una prochura mandava a rRoma, e Nicholò

la dirizassi a me. Chosì fé. E disse al fante, secondo mi scrive, che trovandoti a San Chirico, la dessi a tte.
El detto fante la diè qui ier mattina. Vedi servigio ne fé. La tua a(per)se Tomaso, che v'era drento lette(re)
' Amerigo Benci, a Martegli e a Girolamo Moregli. Erano ap(er)te, e drento la prochura. Da tTomaso
ne sarai avisato.
Ebi nella tua quella di Filippo. Di' che senpre mottegia, ed io anchora mottegierò cho· llui, che glene dirò qualche
motto. Nè altro p(er) questa. Idio di male ti guardi. P(er) la tua Allesandra, Firenze.

Siàno a ore 21, e sento pure che tramano questa tua venuta. Idio lasci seguire il meglo.