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Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Le Lettere di Alessandra Macinghi Strozzi

Lettera XXVI

Al nome di Dio, a dì 25 d'agosto 1461
Di poi p(ar)tisti da rRoma non t'ò iscritto p(er) non esere achaduto el bisongno. Ebi poi la
tua da Bolongnia, che ne fu aportatore Lodovicho Strozi; eriti condotto sano tu e
la chonpagnia, che mi piacie. Idio lodato! Dovevi partire di quivi a dì 20 per esere
a Vinegia, e poi p(er) la più pressa tirare chostì a Brugia. Chosì arò piaciere abi fatto;
che Idio p(er) tutto v'abia fatto salvi. Tomaso se n'è venuto teco: è buon conpagnone, e portati
grande amore. Atendo novelle della giunta vostra costì; che Idio me ne ma(n)di
le buone disidero.
El trebiano ò chonperato p(er) mandare al governatore di Perugia p(er) tuo p(ar)te; e Giovanni
à ciercho p(er) miglore che à trovato, e questo dì lo debba mandare. Chosta lire
8 el barile; e fiaschi l(ire) 4, s(oldi) 13; e p(er) vettura, f(iorini) 2 larghi. Pagerassi della veronicha,
vendendola; se nnone, Giovanni gli trarrà da Filippo. Sopra di ciò non achade altro. E
marzolini, queste fanciulle gli mettono a ordine, e darannosi a Matteo Buonaguisi,
chome per altra à' detto.
Da Filippo ò lettere di quanto è seguito tra voi de' fatti vostri, e in che apuntame(n)to sete
rimasi, che alla buon'ora sia tutto. E così ò visto chome la faciesti cho· Nicolò; che ongni
omo faccia p(er) sé. Sete oramai d'età di non avere balìa sopra chapo, della discrezione
ch'è llui; che un altro non credo se ne trovassi di sua condizione, e nonché
inverso di voi. Ma vego chome la va sottilezando p(er) le nipoti: per ancora non à fatto
loro nulla en dosso, e simile alla Lugrezia. Duolsene la madre forte; che p(er) la malattia
della Margerita, e per altre spese tutto ànno fatto del loro: che nulla ànno
auto da llui. À proferto lo panno p(er) le cioppe molto escarso; e delle gamurre, che àno nicistà
d'una per uno quelle 2 fanciulle. No· ne vole per ancora udir nulla, che dicie
à da tte, che ll'àno buone en dosso: e non è così! Che sono di già consumate, e sono per ongni
dì p(er) chasa. E panni che sono a chamino, di loro, dicie la Lucrezia che non sono buone
a rifare, tanto sono miseri. Ora i' ò scr[i]tto a Nicolò che no· me ne dia charico;
che altro che malavoglenza non arei o da llei o da llui. E così m'ingegnerò di fare;
che sono diferenziati l'animo di Nicholò da llei.
Avisoti che la lettera tu mandasti ch'io gli dessi e(n) suo mano, della Lugrezia, chome
si faciessi, sechondo dicie la Lucrezia, ch'ella gli cadde, e lla madre la lesse, e forte
era cruciata. Andandovi a vedere di poi la Margerita, che ancora non è del
tutto libera del male, e la madre chominciò forte a dolersi di te, che tu avevi
escritto che lla guardassi, che la dota sua, Donato non vi ponesse su lle mani. E di
questo non ti potre' dire quanto isdengno n'à(n)no preso: i' non pote' mai con buone
parole raumiliarla. Di poi, da me e lla Lucrezia, dissi: «Tu no· dovevi mostrare
la lettera a mona Lena, avendo veduto che v'era su cosa ch'ella n'avesse dispiaciere!».
Ella rispose en più modi; che conpre[n]do lei medesima ne fu cagione, ch'ella
la vedesse. Mostrò di no· ne far chaso delle parole della madre, nè di quello tu gli dicievi
della dota, ma facieva chaso del dire, ch'ella s'era p(er) rimaritare: e questo dimostrò
che gli dolesse; ma che sapeva che ttutto veniva da quella buona lingua di To(m)maso
Ginori, e che ne-l pagerebe a tenpo. Ora i' non so vostre trame. Dissigli che tti scriverei
che atendessi a fare e fatti tua, e a llei lasciassi fare del suo a suo modo. E bene
dimostrassi ta' parole non eser contenta ch'i' te le scrivessi, te lo dico di nuovo: che lasci
fare a llei del suo, e non te ne inpaciare, che sono cose di poco onore. Credo di
costà ne sentirai novelle da Carlo, che stimo la madre glel'arà iscritto. Tomaso
è llo 'ncaricato della chinea, e della sella e del piglare marito; diglele p(er) mie p(ar)te,
ma (n)no· glene scriva però nulla. E atendete a fare e fatti vostri, e sbratarvi di costà
presto. E a lei non è di bisongno scrivere. E rricordi ti diè Fi(lippo) della don(n)a, abi a me(n)te.
El famiglo tuo ve(n)ne da rRoma, e giunse cholla febre, che tre dì l'ebbe a chamino; tennilo qui 3 dì governandolo
bene, e chol pollo pesto sera e mattina, credendo la febre passassi, ma ella crescieva. Quando
vidi questo, chon buon modo lo feci contento che andò a Santa Maria Nuova; e llà lo racoma(n)damo

al medico, e no· gli è manchato nulla. Che se guariscie, e torni costà, si loderà di noi. È miglorato, ma
dubito che none stia un pezzo chon un poco di febre; e se si mette a chamino, che non sia ben guarito, dubito
no· rrimanga su pell'abergo. Terròlo qui el più ch'io potrò, tanto che riabia le forze, e poi si ritorni
chostà. Che Idio gli renda la santà presto, se-l meglo deb'esere. Che dispiaciere ò 'uto del mal suo
p(er) tuo amore, che llo menasti teco. El chavallo, Giova(n)ni l'à governato, ed è guarito del dosso.
L'aportatore di questa fia Antonio di Bernardo de' Medici, che viene a stare nella conpagnia di Chosimo:
è a tte singulare fratello. E sai quanto tutti noi siàno obrigati a Bernardo, e simile è llui; che
siàno tenuti di baciare la terra dove Bernardo pone e piedi, p(er) l'amor grande ci porta, e quello à fatto
p(er) noi, e fa chontinovamente. Ed è molto afezzionato a' fatti nostri; siché, per ogni rispetto, li sete
troppi obrigati. E p(er)tanto fagli quello onore t'è possibile, e quella buona conpagnia che si richiede. Non dicho nè
che gli dia aiuto nè chonsiglo, però che ll'à da ssé el chonsiglo: ched è un giovane di tal vertù, che pochi se ne
truova de suo pari, e ll'aiuto à da più possenti di te; pure te lo rachomando, che fia costà più forestiero
di te. È molto amorevole: e poi tornò da Napoli, m'è venuto a vicitare espesso. E così ora, che s'aveva a p(ar)tire,
m'è venuto a vicitare chon tanto amore, chome se mi fussi figluolo; e cierto i' gli porto grande amore,
e troppo mi duole la p(ar)tita sua, che ne venga tanto i(n) là. I' t'ò rachomandato a llui, e così lui racomando
a tte: che ne faccia quello, bisogniando, come se fussi Filippo; che grande amore porta a ttuti noi, ed è giovane
che merita ongni bene, ed à una buona maniera e graziosa. E duol bene a Filippo la p(ar)tita sua, che stimava
ridurselo presto a Napoli, e glene diè aviso tardi, che di già aveva preso p(ar)tito p(er) costì. Tutto sia p(er) lo meglo;
e Idio gli dia buono viagio e p(er) tutto l'aco(n)pagni e conduchalo sano e salvo. E chosì disidero sentire di voi siete
g[i]unti a salvamento; che grazia ve n'abia conciesso Idio, chome disidero.
È di poi tornato el famiglo a chasa, e fogli fare buona vita, che si riabia della p(er)sona. Siàno a dì 28; questo
dì tornò. Ieri ebi la tua de· 20 dì da Bolongnia, e quella di Filippo ogi la manderò: è stata asai a chamino.
Vego non sè ito a Vinegia, rispetto le novelle avesti di chostà, che presto era di bisongno fussi costà. Tutto p(er)
lo meglo. El trebiano andò p(er) buon modo; e marzolini ci sono quest'anno tristi, che ne mandamo a Nicholò
Strozi a Roma, erano de' più belli si trovassino, e dicie Filip(p)o che no· rriescono buoni. Pure ti se ne ma(n)derà,
chome t'ò detto. Nè altro p(er) questa. Idio di male ti guardi. P(er) la tua

Allesandra Strozi, Firenze