Al nome di Dio, a dì 26 dicienbre 1449
I' ò 'v(u)to più tue d'agosto in qua, e mai a niuna ò fatto risposta. E la chagione ne fu prima il male
mio, che mi chomi[n]ciò a dì nove di settenbre; poi, a dì 26 di detto, chomi[n]ciando la morìa a Quarachi, allato
a noi, ne mandai Matteo in Mugiello alla Chaterina e a Marcho, ed èvi istato più di duo mesi. Sicché
però non t'ò risposto alle tue: che io non potevo, e Matteo non era mecho. Farotti risposta pell'avenire,
se a Dio piacierà .
Da Marcho fusti avisato chome i' ebi el mal de' pondi, e chom'io dovevo fug(g)ire in Mugiello, a chasa
sua, la morìa, che già s'apressava a Quarachi. E venendomi el male, non mi pote' partire;
e mentre avevo male, ne chomi[n]ciò a morire quivi, chome t'ò detto di sopra. E no(n) se(n)do miglorata
e· modo ch'io potessi andare in Mugiello, Zanobi, mio fratello, mi mandò a dire mi levassi di quivi
e andassi a stare cho· llui a l'Antella, che v'era sano e buona stanza. E chosì feci, che stavo in modo,
ch'a faticha mi vi chondussi. E p(er) grazia di Dio i' guari'. E trovandovi buon esere, e sendo nel pre[n]cipio
già del verno, e presso a Firenze, istimando che la chosa ci miglorassi, chome à fatto, e anchora sentendo
Nicholò voleva passare di qua, io non mi parti' di quivi e so(n)mivi stata insino a dì 16 di
questo, che siàno tornati in Firenze per chagione della venuta di Nicholò; che mi vi sare' stata
anchora duo mesi, tanto che qui fussi netto afatto, che non ci mori(s)si più niuno di sengno, che ancora
ne va quando 4 e quand'è 5, 6 per dì. Vero è ch'è dì 8 non cie n'è ito più d'uno il dì, e p(er)ché
à fatto altre volte a questo modo, non ci s'asichura la brigata. A Dio piaccia liberar tutto da questa
pistolenza.
Fu' avisata da tte, e prima da Soldo degli Strozi e da Matteo di Giorgio, della morte del nostro
Filippo; che n'ebbi un gran dispiaciere, ed ò, cho(n)siderando il danno che gietta a nnoi prima, e poi
a tutta la chasa, che la virtù sua era tanta, che a tutti dava riputazione. Non si può riparare
a questa morte: cho[n]vienci avere pazienzia a quello v(u)ole Idio. Anchora, morì F(ranciesco) Della Luna;
che n'è stato un gran danno. E qua morì Antonangiolo Macingni, e molti altri nostri parenti
degli Strozi. E a questi dì è morto la Margerita di Pip(p)o Manetti, chon dua figluoli; sicché questa
volta ci è toccha la nostra parte. A Dio piaccia p(er) suo misericordia far fine. E pe· rispetto
della morte di Filippo, ò tue lette(re) e da Iachopo, chome Nicholò e lui s'ànno ' acozzare a Barzalona:
che Idio die loro buon viagio. Avisimi ch'io faccia onore a Nicholò, che iscavalcherà in chasa no(s)stra;
e chome ne menerà Matteo seco a Barzalona, e ch'io lo metta in punto. Chosì ò fatto e aspettolo
cho· lletizia! Che ò gran vogla di vederlo! Io m'i[n]giengnerò di fargli quello onore che a me fia
possibile. So non potrei, nè saprei fare quello onore che merita, ma ara(m)mi per escusata quando
farò quello ch'io potrò, e fia volentieri; che Idio lo chonduca a salvamento. Ieri senti' ch'era
a Roma: istimo si partirà di là fatto le feste, e qui l'aspettiano a dì 4 o 5 di giennaio.
P(er) Soldo ti mandai 2 palle gonfiate e un paio di choltellini e una dozzina di penne; che veduto
che Matteo non veniva, le die' a llui. Avevo ordinato di mandarti le pianelle fratesche e gli
sciugatoi e ' fazzoletti, tutto p(er) Matteo: ora chonviene le mandi per altri. Avisami se di chostà ci
viene vetturali. E anchora ti manderei del finochio, voglendone. E-l panno per le chamicie
è ordinato di farlo, che insino a ora abiàno penato a filarlo, perché n'à 'vere la Lesandra le
chamicie. Sarà in tutto braccia ciento dieci o 12. Ed è fine, forse troppo, per chamicie,
che quando sarà fatto, e bianco, voglendolo vendere, arò grossi 4 del braccio, che così si vende,
ma no· llo puoi avere prima che aprile o maggio per rispetto dello 'nbianchare. Quel lino
mi mandasti m'à fatto una bella riuscita: vendenne libb(re) 12 e mezzo, grossi 25. Quando
t'abattessi ' averne de· buono o dell'atro a buon pregio, to'lo per me, e avisami del chosto, e dove v(u)ogli
e danari, e daro(l)gli. To'ne insino a libre dugiento. Credo quest'anno che viene, qua se ne
richorrà pocho. Io non ò però fretta, ma quando ti venissi alle mani la buona derrata, te
lo ricordo .
Sono avisata che vorresti ch'io ti mandassi per escritta ciascuno debitore da Pesero, e le chiareze
ch'i' n'ò; farollo ora ch'i' sono tornata a Firenze. E quando Nicholò sarà partito
di qua, tutti gli leverò i· sun un foglo e· modo lo 'ntenderai; e ' mallevadori di detti debitori
anchora ti leverò, e tutto ti manderò. Della chasa di Donato Ruciellai no· s'è fatto nulla p(er)
questa morìa, che non ci è stato a Firenze; avisandoti ch'ell'è mie chonpera, e no· lla può tenere
sanza mia licienza. E a me non fugie termine, che ò tenpo parechi anni a chonperalla;
aspetto il termine de' fiorini cinqueciento della dota della Chaterina: chome tu ssai,
viene il primo dì d'aprile nel 1450; allora potrò fare chol nostro, e vedreno quello che vorà
dire quando arò e danari e· mano.
Credo che da Marco sè avisato chome la Chaterina è grossa ed à a fare il fanciullo a mezzo
febraio. A me parrebbe, esendo in quello stato, piglarne sichurtà, che no· si perdessi
que' ci[n]queciento fiorini s'ànno avere dal Mo(n)te: che si p(er)derebbe
l'avere e la persona a un'otta; che se Idio faciesi altro di lei inanzi aprile, cie gli perderemo.
I' l'ò detto chon Antonio degli Strozi; in ongni modo, gli pare si spenda fiorini 12, che
chosì chosterà di sichurtà p(er) questi tre mesi, cioè giennaio e febraio e marzo. Aspetterò Nic(h)olò,
poi ci à ' esere tosto, e farò quanto me ne dirà. Marcho no· gli pare si faccia; che dicie ch'ella istà
sì bene della persona, che no· gitterebbe via questi parechi fiorini; e a me pare di volegli
gittare via e stare nel sichuro. No· glene iscrivere però nulla, aciò no(n) l'abia p(er) male, ch'è
faccienda tocha a noi. Priego Idio ne la tragga al tenpo debito, chon salute dell'anima e santà
del corpo, chome disidero.
I' ò pensiero, piaciendo a Dio, qua d'aprile venire per quel santo p(er)dono a Roma. E se per niuno
modo tu potessi fare di venirvi, aciò ch'io ti vedesi inanzi ch'io morissi, mi sarebe una
gran consolazione; che vedi, ch'io non ò altro bene i· questo mondo che voi tre mia figluoli.
E per la salute vost[r]a mi v'ò levati a uno a uno dinanzi, non guardando ala mie consolazione. E ora
ò tanto dolore di levarmi dinanzi questo utimo, ch'io non so chome mi viverò sanza lui: che
troppo gran duolo sento e troppo amore gli porto, che somigla tutto il padre ed è fatto u· bello
garzo[n]ciello in questo tenpo è stato in villa; che avendol veduto prima, e vedendo
ora, è rimutato. . Piaccia a Dio n'abia co[n]solazione. E per tanto ti priego,
poi ch'i' rimango così isconsolata, darmi un poco di rifrigiero in questa mia venuta
chostà a Roma. Che Id[i]o mi presti tanta vita ch'io vi rivegga tutti, come disidero.
Da Lorenzo ò lette(re) d'ottobre, che sta bene. Iscrivigli spesso che faccia bene. I' ebi la prochura
mi mandasti; quando bisongnerà altro, te n'aviserò. Nè altro per questa. Idio di male ti guardi.
P(er) la tua
Allesandra, in Firenze